Flora e fauna in fantasia

Cosa accade quando lasci che la fantasia vada a pescare tra gli esseri della flora e della fauna, esseri divenuti  quasi mitologici nei racconti tra adulti e bambini?

Scopriamolo insieme in questa chiaccherata avvenuta in leggerezza, che si è trasformata in una sorta di “Zuper Squark” ,  io e mio marito partendo dalla patagarraia sarda abbiamo rispolverato le storie della fauna ad essa collegata.

Sono in gita con mio marito alla ricerca di un po’ di refrigerio verso i monti del Corno alle Scale.

magnifica vista della riva

Vista dei monti della riva

Durante il viaggio, presi dalla gioia di essere insieme e di essere diretti verso un luogo da noi molto amato, abbiamo cominciato a parlare di erbe, e sapendo che stasera avrei dovuto mettermi a scrivere la recensione di una pianta per la rubrica “il prato nel piatto” mio marito ha deciso di aiutarmi raccontandomi di questa pianta di cui io non ho mai sentito parlare.

Il suo racconto è cominciato come itinerario floro-faunistico tipico della regione Emilia Romagna con estensione temporale verso la Sardegna per effetto delle migrazioni dei pollini sardi che spesso si manifestano verso le colline bolognesi, seppur tra territori distanti migliaia di chilometri.

Io lo interrompo

Bea- Scusa ma la Sardegna non dista migliaia di chilometri…

Franco- I pollini seguono prevalentemente la rotta traghetto Olbia-Civitavecchia e spesso si trovano a risalire la dorsale Appeninica  allungando così la strada da percorrere, ma rafforzandone le proprietà salienti.    E,  spesso, per effetto di questa trasmigranza aerea, si possono trovare dei cespugli di patagarraia sarda sui crinali emiliano romagnoli.

Ti stupirò con effetti speciali. La patagarraia sarda è una pianta che si manifesta in maniera abbondante, la sua estensione è molto simile alla portulaca, rispetto alla quale è leggermente più carnosa, inoltre, si presenta con foglie un pochino più lanceolate.

Questa pianta ha la particolare caratteristica di essere molto apprezzata dagli amanti della fauna emiliana.

Bea – Fauna? Non stavamo parlando di flora?

Franco – E’ vero, ma devi  sapere che dove si estende la pataragaia sarda troviamo il famosissimo ricercatissimo e quasi estinto Saiano. Ti ricordi del Saiano vero?

Bea- oh yesss. Raccontami, coloro che non sono di Bologna non conoscono questo animale leggendario.

Franco –  Il Saiano è quel “fantastico” animale tipico del territorio emiliano romagnolo, famoso per la sua caratteristica velocità, una velocità spesso disarmante per la forza con la quale si manifesta, difatti nel modo di dire bolognese troviamo l’espressione “Eh ma te corri così veloce che sembri un Saiano”.

Tutti gli abitanti dei nostri territori lo conoscono, ma pochi di loro hanno avuto il privilegio di vederlo, si narra che quasi nessuno l’abbia mai visto, a parte me e pochi altri dotati di  una super vista veloce.

Il Saiano è un animale unico nel suo stato , innanzi tutto possiede una particolare caratteristica legata al manto, infatti è dotato di un vello ispido che assomiglia un pochino a un cespuglio riarso, ciò lo rende capace di mimetizzarsi, se vi capiterà di vederlo, sarà  riconoscibile grazie alle abbondanti secrezioni di muco che gli escono dalle larghe froge, narici molto grandi che gli servono per l’appunto per odorare l’aria e capire dove si trova la patagarraia sarda.

Il Saiano ha una caratteristica fondamentale, oltre quella della velocità, è un animale che si muove soprattutto di notte.

Durante il giorno, si sa, vive sugl’alberi, dove ha costruito nidi che sono molto simili a quelli dell’allocco.

Infatti è facile confondere il nido dell’allocco con quello del Saiano emiliano romagnolo.

Per quanto inarrivabile e mimetizzato ai nemici,  il nostro amico risulta estremamente vulnerabile  quando subisce il fascino della patagarraia sarda, infatti allorquando ne trova un ciuffo, essendone lui terribilmente ghiotto, cade come in una sorta di trance, e dimentico di tutto ciò che lo circonda, si ritrova completamente indifeso.

Ed è così che  diviene  così facile preda dello Ziribecc.

Bea- Ziribecc,  chi è costui ?

Franco- Lo Ziribecc è il più famoso dei volatili, anch’esso ospite delle langhe emiliano-romagnole, conosciuto per il lungo becco con il quale è capace di frantumare le pietre dalle quali trae i nutrimenti saporiti dei preziosi minerali. Minerali e sali minerali che attaccandosi al becco rendono il suo strumento di attacco e di difesa ancora più forte.

Lo Ziribecc è conosciuto e riconoscibile nei suoi movimenti, perchè essendo pure lui, un animale notturno, nelle notti si sente il ticchettio del suo becco, ticchettio creato dallo Ziribecc nell’atto in cui si lima le escrescenze di pietra che pendono dal suo becco.

Lo Ziribecc adora perpetuare questa azione   sulle scoscese pendici della Riva, il meraviglioso monte che fiancheggia il fresco e copioso torrente Dardagna che scorre ai piedi del Corno alle Scale.

Altra peculiarità dello Ziribecc è quella legata alle proprie escrezioni, la quali frutto del nutrirsi di polvere di pietra per trarne i sali minerali, depone un guano che per caratteristiche fisiologiche si presenta sotto forma di pietruzze tonde e colorate, come quelle che spesso troviamo incastonate in preziosi manufatti orafi come ornamento del  collo delle signore.

Bea – interessante…

Franco – Da sempre gli anziani, a fronte della sua pericolosità riconosciuta , hanno spaventato i bambini con lo Ziribecc, raccontando loro che esso è un animale che con il suo becco lungo viene denominato il “Dracula” delle steppe emiliano-romagnole, ed è per questo che i bambini di queste aree, vengono preservati  da questa figura di volatile predatore.

I bambini sono soggetti che potrebbero essere ghermiti dallo Ziribecc, così si racconta dai  tempi dei tempi.

Lo Ziribecc che è un animale leggendario da generazioni, lo si teme soprattutto verso l’ora della nanna, perché lo Ziribecc in passato  ha portato via  molti bambini dalle proprie case, e risulta certo che lo Ziribecc sia un animale istruito dallo yeti, difatti, gli yetini, i figli degli yeti, in effetti non sono altro che una tramandanza di bambini sottratti alle proprie famiglie e abbandonati sui monti più alti.

Ma non solo, infatti  per tradizione e cultura, succede che ad un certo momento della giornata verso il tramonto, i pennuti della specie avicola quali polli e galline nonché galli, vengono riaccuditi al pollaio al grido di “A let, a let, che agl’ìè il Ziribecc …”, ed è anche il momento attraverso il quale si determina temporalmente l’andata a nanna dei bambini quale manifestazione di protezione di salvaguardia della prole.

Lo scorrere del Dardagna nei boschi della Riva

Nella valle del Dardagna, che ospita un torrente famoso perché oltre che dare il via ad un flusso di acque pregiate che sgorgano dalle falde del Corno alle Scale, monte principe dell’Appennino, con una confluenza quasi diretta col Panaro, più a valle verso Fanano, nelle sue acque fa crescere il salmerino, un pesce  salmoide autoctono molto pregiato che si trova solo da quelle parti.

Bea  – Non son certa, ma credo sia un IGP, o addirittura un presidio SlowFood.

Franco – Quindi sappiamo che lo Ziribecc nella sua catena alimentare risulta particolarmente goloso, e qui lo si riconosce estremamente ghiotto sicuramente del Saiano il quale ne diventa preda allorchè si trova perso alla ricerca della patagarraia sarda, ma che è anche un noto predatore di salmerino.

A questo punto ho qualche perplessità su quanto ho avuto modo di ascoltare e quindi incalzo un più di domande.

Bea – Ma qual è la stagione della pataragaia sarda?

Franco- La patagarraia sarda da maggio fino a settembre l’abbiamo a disposizione in foglia, da settembre fino a dicembre risulta molto ambita per la morbidezza della radice, e ad aprile al momento della fioritura è ricercata per il profumo e la bellezza dei suoi fiori.

Bea – Ma cosa dicono i sardi del fatto che la patagarraia cresce anche da noi?

Franco – I sardi sinceramente sono un pochino indispettiti, difatti, tutte le volte che vedono un bolognese, gli dicono: ” Aijò, lascia stare la patagarraia sarda, pezzo di suffurugallo che non sei altro!”, è uno dei momenti nei quali noi bolognesi, quando andiamo in Sardegna, siamo costretti a subire.

Bea – Ma vien buona sia cotta che cruda?

Franco – Allora, la foglia è buona quando è giovane, condita in vinaigrette, tipo lo spinacino per intenderci, man mano che va avanti nella stagione è meglio servirla dopo una sbollentatina e una spolverata di gomasio.

Bea – Ma ha anche delle proprietà fitoterapiche?

Franco – Certo! È una buona alternativa al malvone cagone.

Bea – Si può mettere anche sotto spirito?

Franco – Infusa col distillato di vinaccia, la patagarraia sarda dà un sapore che è molto vicino alla grappa alla ruta.

Bea – Invece la radice?

Franco – Quando siamo nella stagione più fredda, e soprattutto verso l’inverno, tagliata a fettine e abbinata alla polenta, con del buon formaggio o dei piccoli funghetti, ha quel sapore leggermente agliato che insaporisce il piatto.

Ma,ma… ma di ban sò … quante cazzate da Marzabotto a Vergato!!

E’ stata una bella gita, ma soprattutto è stato bello fantasticare su flora e fauna mitologica, cose che riempiono le fantasie e le memorie di noi quando eravamo bimbi spesso influenzati e spaventati da questi racconti che i grandi ci facevano per tenerci gobbi o forse per permetterci di nutrire la nostra fantasia. Fatto sta che il Franco continua a raccontarmi storie buffe e strampalate.

Stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra che io ho detto la mia.

un abbraccio dall’Erbana, una selvatica son solo in cucina :-)

 

 

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