Il proprio giardino

Coltivare il proprio giardino serve in primis per stare bene con sè stessi.

Coltivare il proprio giardino è una metafora… metafora che mi ha portata a scrutare dentro di me per comprendere, per capire ciò che la Vita mi domanda e mi porta ogni giorno.

In un sogno ad occhi aperti ho viaggiato sulle ali del vento sicura di essere un aquila.

 

Guardare dall’alto per fare il punto della situazione

Dall’alto tutto mi è apparso differente, più chiaro, ho visto come tutto sia collegato. Sotto di me un grande patchwork, uomini, piante e animali che insieme cooperano al bene del grande Tutto. Non percepivo più emozioni di tristezza, o di infelicità, solo bellezza e unità.

Ecco che mi son ritrovata a pensare alla vita come ad un grande orto giardino, e le persone mi si mostravano con le caratteristiche delle piante che conosco, e come se fossi il giardiniere della mia vita ho compreso che per raccogliere felicità, gioia e pace occorre seminare gentilezza, bellezza, giustezza.  Occorre portare attenzione affinchè i semi della  violenza,  della crudeltà e della cattiveria altrui non volino nell’orto, attecchendo e creando distruzione.

Questo sogno ad occhi aperti mi ha fatto capire  che bisogna controllare la propria semina, e piantare buone piante con parole, pensieri, azioni, e per chi è portato, anche con scritti.

E’ chiaro che le selvatiche che crescono nel nostro orto possono essere aiuti o impedimenti.

Il vivere a stretto contatto con la natura, seguire un orto, il cogliere frutti ed erbe coltivati o spontanei, mi porta spesso a riportare in relazione alle esperienze quotidiane che vivo in città a contatto con le genti, ciò che comprendo in quei frangenti. Ogni pianta rappresenta un’esperienza di dono o di bisogno, una relazione di gioia o di oppressione, un’ apparizione, e ognuna ha una  sua stagionalità, un proprio tempo, di arrivo e di durata.

Alcune spontanee rappresentano le persone che con grazia e generosità appaiono nella vita e con umiltà ti rendono il quotidiano splendente e gioioso, come il fiordaliso, il piccolo fiore azzurro del lino, la carota selvatica, la camomilla, la malva, la menta, la centaurea, la portulaca, il tarassaco, l’ortica, l’achillea, la melissa, il finocchio, ecc. Altre sono portatici di astio e gelosie, invidie e cattiverie, e allora pungono, prudono, feriscono, ti tengono alla larga o ti avvisano di starne ben distanti, toccate una volta te ne guardi poi dal riafarlo…

Le persone incarnano ognuna caratteristiche proprie paragonabili alle spontanee

Le spontanee sono multifunzionali, spesso sono pioniere,  proteggono, fertilizzano, ci insegnano ad accogliere esperienze che altrimenti avremmo rifiutato. Non essendo state coltivate non hanno condizionamenti, io amo dire che non sono state addomesticate, sono per l’appunto vere, spontanee, non manipolate. Sanno andare in profondità e tirano fuori “le ossa della nonna” ovvero son capaci di smuovere ogni cosa, anche l’irremovibile, sarà per questo che le persone “selvatiche” sono scomode?

Ho sentito dire che si sta bene in compagnia delle “selvatiche”, ma a piccole dosi, loro mettono in discussione troppe cose, non accettano compromessi, come le erbacce sono talmente ricche di nutrienti che alcuni non le digeriscono, le reputano troppo coriacee da masticare e spesso amare, ma l’amaro è il sapore che fa bene al cuore secondo la medicina tradizionale cinese (MTC).

Le erbacce sono indomabili, variabili, non calcolabili, sorprendenti, eppure continuano a seguirci, alcune di loro si sono evolute, altre adattate, molte prosperano nascoste, ma silenti e vicine a noi.

Un orto-giardino è luogo di relax, può sostenere e dare gioia, contemplando la vita che lo abita, si può comprendere chi lo protegge, chi lo alimenta, chi sono le alleate e chi i nemici, chi viene solo a prendere, chi soffoca e toglie vitalità, e di conseguenza viene naturale agire per preservare la biodiversità, per la propria sopravvivenza e felicità.

Per esempio le “persone walnut” si comportano come la pianta del noce che secerne una sostanza tossica che sopprime tutte le piante concorrenti del circondario, poche sono le piante che riescono a crescere sotto le sue fronde. Esso sopprime la crescita delle erbe dalle radici poco profonde, le superficiali. La melissa e la menta prosperano bene sotto il noce, le loro radici sono stoloni che si ramificano in ampiezza, così pure l’equiseto. Amiche del noce sono il ribes nigrum, alcune solanacee, le patate no, le leguminose, la bella lillà, il gelso, il potente sambuco, la prosperosa robinia, e la scontrosa vitalba, che poco alla volta si aggrappa ad ogni cosa e la stringe nel suo abbraccio soffocante.

Molto spesso lasciamo crescere solo le erbe infestanti e le nutriamo, le accudiamo e le invitiamo in grande numero a invadere i nostri spazi che accudiamo lavorando e donandogli tutto il tempo a nostra disposizione.

Inserire una pianta coltivata nel nostro giardino richiede fatica, cura e disponibilità, perché andrà protetta, nutrita e accudita. Stesso dicasi con le persone che molto spesso sono presenti finchè c’è da prendere e poi, come uccelli predatori, volgono altrove se vedono che in un altro giardino ci sono frutti più golosi da cogliere.

È buffa la vita osservata dall’alto, mi dona sollievo, perché mi permette di guardare tutto a livello di macrocosmo, ma poi, quando rientro nelle relazioni, in me c’è ancora quel sapore, e allora sorrido e ritorno ad osservare le mie erbette che tutte insieme paiono un’erba unica.

E al mio risveglio le note della canzone di Battiato accompagnano le parole “le aquile non volano in stormo”, e allora tutto mi è più chiaro.

L’analogia mi è stata insegnata da Enrico Gianfranco Guidazzi, circa 20 anni fa nella sua amata soffitta-studio a Cervia, mentre mi tramandava astrologia, ebraico e spagiria affinchè io imparassi a conoscermi.

Alla soglia dei 50 anni, osservo che spesso si trascorre la propria vita “mendicando” amore, cercando di essere accettati per poi comprendere che non si può piacere a tutti, nel voler comprendere gli altri anche quando sono incomprensibili a loro stessi, e a volte nel volerli cambiare.

Ad oggi mi par di aver capito che, il vero segreto della felicità e della salute, è il conoscere sé stessi e divenire buoni osservatori.

E con questo pensiero vi saluto, augurandovi di sperimentare sempre e avere cura di voi stessi che siete l’ingrediente fondamentale della grande ricetta che è la Vita.

Un caro abbraccio dall’Erbana

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